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«The Italian translation of Zong! must be destroyed!»

La copertina aperta dell’edizione italiana di Zong! modificata da un errore di codifica del file. L’errore ha generato un’opera glitch.
The cover of the Italian edition of Zong!, opened and modified by an error in the encoding of the file. The error has generated a work of glitch art.

 

Benway Series ha pubblicato a giugno di quest’anno la traduzione italiana di Zong! di M. NourbeSe Philip.

Benway Series ha regolarmente acquisito i diritti di traduzione da Wesleyan University Press e la pubblicazione è stata possibile anche grazie al sostegno del Canada Council for the Arts.

Quando ha ricevuto il libro, M. NourbeSe Philip ha espresso riserve tali da spingerla a chiederne la distruzione. Ha illustrato le sue ragioni e mosso accuse di razzismo in una serie di post pubblici sulla sua pagina Facebook; il primo in ordine di tempo è questo [https://www.facebook.com/nourbese.philip/posts/10165433104780414], ne seguono altri come questo [https://www.facebook.com/nourbese.philip/posts/10165437504465414].

I tre scritti qui sotto esprimono le posizioni sulla vicenda di, nell’ordine, Benway Series nella persona di Mariangela Guatteri e Giulio Marzaioli, della traduttrice Renata Morresi e del co-curatore del libro Andrea Raos


In the month of June of this year, Benway Series published the Italian translation of Zong! by M. NourbeSe Philip.

Benway Series regularly purchased the translation rights from Wesleyan University Press, and the publication was made possibile thanks to the support of the Canada Council for the Arts.

When she received the book, M. NourbeSe Philip had such reservations about it that she asked for it to be destroyed. She explains her reasons and made accusations of racism in a series of public posts on her Facebook page [https://www.facebook.com/nourbese.philip/posts/10165433104780414; https://www.facebook.com/nourbese.philip/posts/10165437504465414].

The three writings below express the position, in the order, of Mariangela Guatteri and Giulio Marzaioli for Benway Series, of the translator Renata Morresi, and of the co-editor Andrea Raos.


Alle critiche pubbliche fatte da NourbeSe Philip alla traduzione italiana di Zong!, Benway Series chiarisce che / In response to NourbeSe Philip’s public criticism of our work, Benway Series makes clear that

  1. La traduttrice ha contattato l’autrice e ha cercato di coinvolgerla nell’intero progetto. L’autrice ha risposto che ne era felice, ma non ha mai dato seguito all’invito a partecipare, a discutere la traduzione e a vedere le bozze di traduzione. Il progetto non è perciò stato portato avanti alle spalle dell’autrice, né è stato realizzato senza il tentativo di coinvolgerla tempestivamente. L’autrice era certamente libera di essere impegnata o non interessata, è stato proprio per rispetto del suo tempo e delle sue priorità che
  2. è stata seguita la via istituzionale, contattando l’editore e assecondando tutte le sue richieste: inviando i libri del catalogo Benway, illustrando il progetto in modo approfondito, sottoponendo bozze al blind peer-review, e acquistando i diritti di traduzione, i cui termini, si presumeva, erano già stati discussi da autrice ed editore.
  3. Rivendichiamo la validità e la legittimità del libro, sia in termini di restituzione poetica che di resa grafica del testo, peraltro elaborato e realizzato con la massima cura. Se l’esito attuale non è di gradimento dell’autrice, le ragioni sono riconducibili o a malintesi o a una cattiva comunicazione, non certo a una mancanza di buona fede nel perseguirlo.
  4. Le accuse mosse sulla base di differenze di identità (se non ci fossero differenze, i libri non verrebbero tradotti, dopo tutto) o di presunte essenze razziali sono infelici e infondate. Evocare la violenza razziale come termine di paragone per il lavoro di tradurre e dare alle stampe un libro di profonda complessità e significato transculturale è offensivo, non tanto per noi, che siamo stati mossi a tale impresa dalla nostra alta considerazione del libro di Philip, quanto per tutte le vittime di quella raccapricciante violenza.
  5. La richiesta di distruggere un libro per i possibili difetti che potrebbe mostrare suona particolarmente assurda, riportando purtroppo alla mente le pratiche dei regimi autoritari e fondamentalisti di tutto il mondo.
  6. Pensiamo che minare la pratica della traduzione sia pericoloso, in particolare nel passaggio da una lingua molto diffusa come l’inglese a una minoritaria come l’italiano. Benway Series è un progetto editoriale no-profit che crede profondamente nella realizzazione di libri bilingui e traduzioni d’arte. Crediamo che i buoni libri possano parlare attraverso il tempo e lo spazio, risuonando di una poetica distintiva e di un valore culturale unico, potenzialmente ispirando le persone che non hanno accesso agli originali, e partecipando all’incessante creazione di significati condivisi.

Mariangela Guatteri e Giulio Marzaioli, Benway Series


Una nota sulla traduzione / A note on the Translation

di Renata Morresi

Ci sono voluti dieci anni per tradurre Zong! in italiano. È stato Andrea Raos il primo a incontrare questo libro e a rimanere colpito dalla sua potenza. Come poeta di valore, traduttore lui stesso, e appassionato promotore di poesia straniera in Italia, me ne mandò una copia in regalo. Così ebbe inizio la lunga conversazione che portò alla decisione di tradurlo in italiano, di cercare un editore abbastanza coraggioso da credere nel progetto e un’istituzione che potesse aiutarci a sostenere i costi di un lavoro tipografico così complesso. Abbiamo ricevuto il sostegno finanziario del Canada Council for the Arts, una importante istituzione culturale che offre fondi per incoraggiare la traduzione di opere di autori e autrici canadesi di riconosciuto valore. Grazie a Benway Series, che ha acquistato i diritti dalla Wesleyan University Press, e all’instancabile lavoro di Mariangela Guatteri, la versione italiana di Zong! è ora diventata disponibile. È un bel libro, un grande oggetto blu, spazioso, con una copertina ‘mobile’ che permette di aprirlo fino in fondo e di apprezzare pienamente la dimensione visiva del testo scritto e il suo rapporto con la pagina bianca. Naturalmente, come tutte le traduzioni, è perfettibile, temporanea, appartiene al suo tempo. Non può rivendicare la stessa ispirazione che ha mosso l’autrice, ma è il risultato di un lavoro di servizio a questa ispirazione. È stato necessario un lungo periodo di studio, riflessione e sperimentazione per concepire un processo che facesse risuonare Zong! in italiano. Nulla è stato dato per scontato: l’italiano, una lingua flessiva, al contrario dell’inglese che tende a essere isolante, poneva una serie di problemi grammaticali e sintattici nella creazione dell’orizzonte di attesa che ogni pausa apre, per esempio. Le sfide erano molte: ricreare “questo linguaggio di grugnito e di gemito, di mugolio e balbettio – questo linguaggio di puro suono frammentato e rotto dalla storia”, accogliere il non-senso e l’ambiguo come codici di significati sommersi, aprire il linguaggio e le lingue dove si scontrano e si rompono e poi inaspettatamente si parlano, ‘raccontare’ quando anche il raccontare si arrende e si fa avanti l’alterità del dire, quell’eccesso che da un punto preciso della storia arriva quasi inascoltato alle nostre modernissime orecchie, ed esige ascolto. Le circostanze intorno alle quali è nato Zong! non sono davvero passate, tanto più in Italia, nel Mediterraneo, nel 2021. La lettura di una versione italiana di Zong! appartiene al futuro tanto quanto al presente: può, spero, contribuire alle scritture e alle traduzioni che verranno. 

A volte penso che la scrittura poetica stessa sia una forma di traduzione: la traduzione da una lingua che ancora non esiste, la lingua antieconomica per eccellenza, il dialektos della transizione, la lunga deviazione capace di scatenare improvvise consapevolezze, la lingua che contiene molte lingue – tutte cose che Zong! conosce così bene.

Ho fatto questa traduzione con spirito di servizio nei confronti dell’opera, senza aspettarmi niente in cambio, men che meno un compenso economico, col solo scopo di rendere Zong! accessibile ai lettori italofoni di ogni razza, etnia, religione o nazionalità. 

NourbeSe Philip non ha benedetto questo libro come speravamo e di recente ha messo in dubbio le mie motivazioni e le mie origini. Sono molto dispiaciuta della mancanza di comunicazione tra di noi che ho tentato di ristabilire a varie riprese. Non sono sicura quali credenziali dovrei mostrare. Sono sempre stata appassionata di, e ho scritto e studiato, poesia ‘difficile’ e poetiche interculturali. Io stessa sono il risultato di un métissage con cui col tempo mi sono riappacificata. Mia nonna era analfabeta, mi cantava canzoni nella sua lingua inventata, parlando italiano con un accento per tutta la vita. Com’è accaduto che io mi sia appassionata di scrittura sperimentale? Non ci sono facili linee rette, a volte. Come non ci sono ricette già pronte per tradurre la poesia. Una delle principali obiezioni di Philip riguarda la spaziatura, la cui disposizione originale è per lei non negoziabile. Tuttavia, la diversa morfologia di una lingua tradotta porta inevitabilmente a una riconfigurazione della pagina bianca. I silenzi sono importanti quanto le parole, le parti di parole, i suoni e le lettere, e sono stati tradotti allo stesso modo, senza pretendere equivalenze fisse e senza sconvolgere la struttura della pagina originale. Penso che il significato di quest’opera sia nell’interazione tra ritmo, fenomeni translinguali, grafica, intertestualità e poetica: tradurla richiede una negoziazione tra tutti questi elementi. Ma la traduzione è una forma di lettura, e come tale soggetta a numerose interpretazioni. Questo rende un’altra, e spero molte altre traduzioni di Zong! ancora possibili, come possibilità creative e intellettuali per i non anglofoni, come riflessioni sulla storia passata e presente, come estensioni di lettura dell’opera di Philip e come conversazioni con il suo lavoro, che possono giocare un ruolo nel plasmare i lettori a venire – come spero che la mia, la nostra, lo sia per coloro che vorranno leggerla e considerarla.  


Confessioni di un co-curatore / Confessions of a co-editor

di Andrea Raos

Sulla copertina dell’edizione italiana di Zong! compaio in quanto co-curatore dell’opera, insieme a Renata Morresi. Sono uno scrittore e traduttore italiano, ho un Ph.D. in letteratura giapponese (specializzato in poesia classica), e anche se non sono un accademico di professione ho diverse pubblicazioni alle spalle. Fra queste, proprio per Benway Series la traduzione di Olocausto di Charles Reznikoff, uscita nel 2014.

Ho scoperto Zong! per caso, credo circa un anno dopo la sua uscita, in una libreria di Chicago dove allora vivevo per lavoro. Fui subito profondamente colpito da un testo che coniuga tecniche testuali molto avanzate, radicali, con una capacità di affrontare i grandi temi e traumi della Storia che non hanno, non con la stessa immediatezza ed energia, molte scritture dette sperimentali.

La mia prima intuizione critica rispetto a Zong! la devo proprio al fatto di avere tradotto Reznikoff, nel senso che ero stato molto colpito da una sorta di parentela che intravedevo fra le due opere. Il loro punto di partenza mi sembra simile: Reznikoff lavora sugli atti dei processi di Norimberga, Philip su uno scarno parere legale. Ma Reznikoff concentra all’estremo decine di migliaia di pagine, Philip al contrario ne dilata due fino a renderle cosmo. I modi al tempo stesso simili e opposti con cui queste opere affrontano due delle più grandi tragedie della modernità – la tratta degli schiavi e la Soluzione finale – sono tra i motori principali dell’interesse e dell’amore che mi hanno mosso verso di loro.

Per me, amare un libro straniero significa anche immaginarlo, sognarlo in italiano. Un amore che va condiviso e arricchisce chiunque ne venga anche solo sfiorato. Così è stato emozionante, nell’arco di diversi anni, contribuire alla nascita di un’opera che – ne sono convinto – apporta qualcosa di profondamente nuovo alla letteratura italiana e spero contribuisca anche al miglioramento di una società che ne ha grande bisogno.

Poche cose nella vita sono più dolorose di un atto d’amore rifiutato o frainteso o, peggio ancora, accusato di essere un atto di violenza. Al rifiuto di Philip, Mariangela Guatteri e Giulio Marzaioli per Benway Series, Renata Morresi in quanto traduttrice hanno risposto ciascuno per il proprio ambito, con parole che condivido una per una. Per non ripetere quanto detto da loro elenco alcune riflessioni e domande che ho elaborato in questi ultimi mesi, suscitate da quanto stava accadendo prima in privato e poi in pubblico. Spero che generino risposte ma soprattutto altre domande, ancora e ancora – il migliore omaggio che posso immaginare all’arte di Zong! nel testo originale, nella sua traduzione italiana e in tutte le traduzioni future.

La domanda prima di tutte le domande

Parlando della tratta degli schiavi parliamo di una ferita causata da una disumanizzazione ed espropriazione di enormi proporzioni. È legittimo il pensiero di chi dice che solo le vittime e i loro discendenti abbiano il diritto di parlarne. Ma d’altra parte, che ne è della responsabilità di chi non può partecipare del trauma degli oppressi ma rifiuta di allinearsi agli oppressori? E dunque, come si traduce tutto questo in un atteggiamento positivo, proiettato anche sul futuro anziché esclusivamente sul passato?

  1. Una volta resa pubblica, un’opera appartiene ancora al suo autore? Non nel senso della proprietà intellettuale ma in quello della libertà interpretativa di ciascun fruitore? Come corollario, si dà per scontato che sia obbligatorio consultare un autore quando si traduce una sua opera. Ma è davvero così? La comprensione che un autore ha di ciò che ha scritto, una volta che l’ha scritto e pubblicato, è davvero superiore a qualunque altra? E se anche fosse, cosa rimane di questa comprensione, che valore ha nel corso di un atto di traduzione in una lingua straniera e delle sue specificità?
  2. Le tensioni razziali esistono anche in Europa, purtroppo, ma con una storia alle spalle e dinamiche attuali profondamente diverse da quelle nordamericane. Che senso ha applicare dinamiche specificamente nordamericane a un’operazione condotta in un contesto in buona parte diverso? È un dato di fatto che l’Italia soffre di un passato coloniale molto grave e tutt’oggi non sufficientemente elaborato. Però penso che l’imposizione del discorso post-coloniale nordamericano su un contesto europeo continentale – non la messa in dialogo bensì la sua imposizione in quanto presunto universale – sia di per sé un atto coloniale. Come affrontiamo questo paradosso? In quale punto possiamo almeno tentare di incontrarci?
  3. Ritengo il tribalismo comunicativo una delle conseguenze più nefaste dell’individualismo postmoderno. Davvero vogliamo un mondo in cui possiamo dialogare solo fra simili, solo se siamo già d’accordo su tutto, dove non sono concepibili differenza o disaccordo che non siano intrisi di cattiveria, violenza, sospetto, diffidenza reciproca? Un mondo dove non serve traduzione, che io ritengo invece una delle attività umane più nobili in assoluto?
  4. Peraltro, non credo che le identità esistano in quanto essenze predefinite. Noi ci costituiamo, letteralmente esistiamo solo nel dialogo – anche acceso –, nel confronto fra posizioni diverse. Se invece si parte da una chiusura identitaria più nulla è possibile che non sia distanza ostile o vittoria del più forte.
  5. Qualunque opera d’arte viene creata nella speranza di cambiare in un modo o nell’altro, poco o tanto, la società da cui nasce. Zong! è ovviamente un libro che aspira al cambiamento di molte cose, e condivido con tutto il cuore questa aspirazione. Ma Philip la declina in termini molto peculiari: dice (su Facebook il 10 settembre 2021) di avere scritto un libro che “è diventato un testo sacro”, e che quindi in quanto tale richiede specifiche precauzioni per essere affrontato al fine di cambiare il mondo – in meglio, come tutti i testi sacri sono del tutto certi di essere in grado di fare, solitamente a scapito di ogni altro. Questa precauzione è ovvia fra credenti, ma diventa allora un principio generale? Ho io, ateo dichiarato, il diritto di studiare – o anche solo di toccare – la Bibbia o il Corano benché non appartenga alle loro religioni di riferimento? A quale autorità devo chiedere il permesso di leggere – ovvero di tradurre, che in fondo non è altro che una lettura particolarmente approfondita – un libro? Queste domande non sono nuove e al tempo stesso sono attualissime. Sarei molto felice di parlarne con Philip, e soprattutto di ascoltarla.
  6. Un piccolo ricordo personale riguardo a “Notanda”, la sezione di Zong! tradotta da me. A un certo punto Philip scrive: “Henry Moore diceva che il suo metodo di lavoro consisteva nel rimuovere tutto il materiale estraneo così da permettere alla figura che era “imprigionata” nella pietra di rivelarsi.” Ora, qualunque lettore italiano riconosce immediatamente in questa frase un celebre sonetto di Michelangelo Buonarroti. Henry Moore stava solo parafrasando il suo maestro.
    Se fossi in malafede, potrei citare questo piccolo episodio come un perfetto esempio di appropriazione culturale. Invece ricordo che quando lessi la prima volta quella frase di Philip sorrisi. Ricordo anche di avere pensato – non sapevo di avere il dono della profezia – che ero molto felice che la cultura italiana si diffondesse e donasse idee anche in questi modi sotterranei, e quanto mi avrebbe fatto orrore un mondo in cui ciò non fosse più possibile.
    La cultura è fatta per essere condivisa e usata, da chiunque e in qualunque modo. La cultura è per definizione contaminazione, appropriazione, rielaborazione. Niente e nessuno esiste nel vuoto. Certo ciò espone al rischio di equivoci, strade sbagliate, errori anche gravi. Ma l’alternativa è un incubo da cui rischieremmo tutti di non riuscire più a svegliarci.